Da un punto di vista medico e preventivo l’infartuato è tenuto a seguire (sin da subito, già prima della dimissione e per i mesi successivi) uno stile di vita sano, comprendente un’alimentazione corretta ed equilibrata, una costante attività fisica, l’abolizione di ritmi frenetici, l’eliminazione del fumo e dello stress. Talvolta, però, sono necessari mutamenti più incisivi, non sempre facili da mettere in atto, come ad esempio il cambiare lavoro. In questi casi, dunque, diventa necessario riformulare i piani della propria vita e ciò può generare ansia, depressione e ulteriore stress.
È possibile distinguere due modalità di gestione del post-infarto, ancora una volta divergenti che, a grandi linee, possono essere indicate con i binomi “consapevolezza/pessimismo” e “inconsapevolezza/ottimismo”. Per quanto l’infartuato non sia un invalido, non è possibile per lui “ripartire come prima”, per due motivi: da un punto di vista psicologico, ciò significherebbe ignorare il nuovo vincolo (l’evento infarto) e non tenere conto di conseguenza delle possibilità derivanti da esso, mentre da un punto di vista “pratico” significherebbe mantenere quelle abitudini che in qualche modo hanno contribuito al verificarsi dell’attacco cardiaco. La condizione di infartuato, infatti, è cronica, la morte di una porzione di cuore è irreversibile e non si può non tenere conto di ciò, semplificando la situazione e pensando che l’essere positivi sia sufficiente per scongiurare un nuovo attacco. Dall’altra parte, però, anche deprimersi troppo e lasciarsi impressionare eccessivamente da quanto accaduto (come può avvenire nella posizione “consapevolezza/pessimismo”) costituisce un atteggiamento disfunzionale: i pensieri negativi, l’ansia, la depressione, la tensione, la rabbia (perché ci si sente traditi da una parte di sé), la preoccupazione per la propria salute, la paura di un nuovo attacco, possono essere considerate normali reazioni alla malattia, fino a quando però non sono vissute in maniera troppo intensa e per periodi prolungati.
Una differenza nella gestione della situazione la fanno, quindi, anche le caratteristiche di personalità del soggetto: gli individui meno disposti a soffermarsi sull’accaduto e a riflettere su di esso e quelli facilmente irritabili, per esempio, hanno in genere maggiori difficoltà nell’affrontare la nuova situazione e, di converso, tendono a mantenere proprio alcune abitudini controindicate per il loro stato di infartuati.
Non bisogna dimenticare che la differenza, nella gestione della situazione, la fa anche l’età del soggetto: l’anziano, ad esempio, non vive la malattia come un incidente di percorso o un’aggressione esterna – come invece può fare l’individuo più giovane – bensì come un evento intrinseco all’invecchiamento e quindi ineluttabile: ciò può innescare un atteggiamento di rinuncia rispetto alla possibilità di guarigione.